martedì 30 giugno 2009

C'è di tutto in me


Visto che ormai è una settimana che son tornato, direi di finire qui con i post Japan-related e dal prossimo tornare alla vita di tutti i giorni.

Quest'ultimo post riguarderà i vari modi di declinare i controlli di sicurezza e gli imbarchi nei vari aeroporti coinvolti nel viaggio:
  • Aeroporto Marsiglia-Provenza: come ho già avuto modo di rimarcare in un precedente post, nessuno parla inglese (tranne la ragazza del check-in Lufthansa, ovviamente tedesca). L'omino del controllo bagagli insisteva a dirmi che la valigia sarebbe stata recapitata alla "finàl destinesc", con mio sommo stupore: quando poi ho realizzato non ho potuto esimermi dall'esclamare a voce alta "AH! FAINAL DESTINESCION!", umiliandolo di fronte a mezza aviazione. Al controllo personale c'era una signorina, che al mio "I have a laptop in my backpack, should I pull it out and turn it on?" (Ho un portatile nello zaino, devo tirarlo fuori e accenderlo?) mi ha lanciato uno sguardo smarrito e ha esclamato zoppicante: "No spik inglish". "Annamo bbène", ha pensato la Sora Lella che è in me. Al che la signorina, ripetendo a memoria la lezioncina, mi ha detto: "Please teik out ze compiutèr". Il goonie che è in me ha pensato: "Tracobbetto, e io che ho detto?".
  • Aeroporto Tokyo-Narita (in arrivo): appena prima della dogana un bel cartello: "Vi stiamo prendendo la temperatura corporea con un termografo a distanza!". Il Nanni Loy che è in me non ha potuto che pensare "Sorridi! Sei su Candid Camera!". Appena dopo solerti signorine giapponesi ci esortavano a consegnare i moduli che ci avevano dato sull'aereo: modulo contro l'influenza suina (con domande del tipo "accusi sintomi febbrili?" - sì che t'oo vengo a dì - "sei venuto a contatto con gente proveniente da Messico Usa o Canada?" - e che cazzo ne so?), modulo delle importazioni (stai importando quanti soldi? carne? animali vivi?), modulo "dimmi dove sei" (quando riparti? qual è il tuo albergo? quanto tempo stai? studio lavoro o turismo?). Dopo circa una dozzina di controlli passaporto sei finalmente in Giappone.
  • Aeroporto Tokyo-Haneda: essendo un aeroporto principalmente di voli interni i controlli di sicurezza sono abbastanza rilassati, ti fanno portare come bagaglio a mano anche dentifrici, deodoranti e saponi liquidi di grande formato. Nota positiva: invece di costringerti a sbarazzarti della bottiglietta d'acqua la fanno passare su un dispositivo che ne accerta la natura. Se è ok te la ridanno e la puoi portare con te. Ora, non so bene come faccia una sola apparecchiatura a discernere acqua pura da acqua mescolata con vari milioni di tipi diversi di veleni: il malfidato che è in me sospetta che sia un po' una mistificazione.
  • Aeroporto Tokyo-Narita (in partenza): per uscire dal Paese non ci sono praticamente controlli. Tappeto rosso, e "caro turista, ci ha fatto piacere averti con noi ma è giunta veramente l'ora che ti scavi dai maroni", il leghista che è in me pensa.
  • Aeroporto Francoforte sul Meno: in ossequio alla loro fama, i tedeschi sono bruschi. "Sì, d'accordo, hanno smesso di bruciare gente nella camera a gas, ma è evidente che si stanno trattenendo con difficoltà", pensa l'ebreo che è in me. La signorina delle informazioni mi manda alle macchinette del check-in in maniera piuttosto brusca. "Sì ma io avrei bisogno di un umano, perché non ricordo il numero del volo", cerco di difendermi. "Non c'è. Vada alle macchinette, se è in difficoltà chiede a quel signore, vede quello là in uniforme?". "È inutile che mi tratta come un bambino di due anni", pensa risentito il bambino di due anni che è in me. Controllo personale con 20 metal detector e quaranta energumeni che si agitano come dannati. Arriva il mio turno (ormai ho imparato) mi tolgo lo zaino, tolgo il pc dallo zaino, tolgo il marsupio, la giacca, perfino la cintura dei pantaloni che aveva suonato a suo tempo a Marsiglia. Passo sotto il detector, silenzio di paradiso. Allora riprendo la cintura, riprendo la giacca, riprendo il marsupio, faccio per riprendere lo zaino e l'energumeno mi abbaia contro qualche bestemmione in tedesco, con gli occhi iniettati di sangue. Mi blocco, e il lemming che è in me pensa "se rimango sufficientemente immobile non mi vedrà, la sua visione è basata sul movimento". "ENGLISH?", mi fa. "Y-yes", balbetto. "DON'T TOUCH! OPEN IT!". Sorvolando sull'evidente contraddizione (come faccio ad aprirlo se non lo posso toccare?), comincio ad aprire lo zaino e l'energumeno ci affonda le braccione tozze come se ci fossero state monete d'oro. Tira fuori tutto, TUTTO: il cavo del pc, il caricabatterie del cellulare, TUTTE le ricevute dei ristoranti giapponesi, TUTTI gli articoli scientifici che avevo con me, il libro del Silmarillion in italiano (e si mette persino a leggerlo!! - "leggi leggi", fa il Frodo che è in me, "vediamo cosa capisci di Feanor figlio di Finwe"), le salviettine fresh&clean. Fortuna che avevo tolto il tagliaunghie, altrimenti credo che mi avrebbe sparato a vista. Dopo 5 minuti buoni mi manda via in malo modo, e a quel punto un bel "MA VAFFANCULO" in italiano se l'era già meritato tutto.
  • Aeroporto G.Marconi Bologna: il nulla più assoluto.

venerdì 26 giugno 2009

Nippon banzai



Meglio concentrare le forze su altre impressioni sparse del Giappone:
  • come dice il buon Jack, trovare un cestino della spazzatura in Giappone è una ricerca psico-filosofica: devi cercare dentro di te prima che fuori. Sì perché i cestini giapponesi sono pochissimi, piazzati nei posti meno probabili e rigorosamente differenziati ma in maniera totalmente random. All'università di Matsuyama c'erano 6 o 7 raccoglitori diversi, scritti ovviamente solo in giapponese e con disegnini esplicativi della chiarezza di un articolo sulla rottura spontanea della simmetria in fisica della particelle. Il prodotto netto di tutto ciò era una marea di astronomi occidentali con le tasche rigonfie di rusco alla ricerca perenne di un pertugio che assomigliasse vagamente a un bidone.
  • un alieno che atterrasse nel centro di Kyoto, a metà giugno, e tirasse fuori il congegno analizzatore della composizione atmosferica, ne ricaverebbe che l'atmosfera terrestre è composta di acqua, con tracce di azoto e ossigeno molecolari. La prossima volta che mi lamenterò dell'umidità di Bologna siete autorizzati a frustarmi con lo swiffer dei preti shintoisti. Ora che son tornato mi sembra di vivere nel deserto del Namib.
  • i giapponesi si applicano con dedizione a lavori che nella maggior parte del mondo occidentale, specie in Italia, produrrebbero entusiasmo pari al guardare un muro verniciato che si asciuga. Solo là puoi vedere parcheggiatori che dirigono il traffico di una automobile in un parcheggio deserto, utilizzando gli stessi tool e le stesse movenze di un direttore di volo su una portaerei, o il ferroviere dello Shinkansen della stazione di Shinagawa (ritratto qui sopra) che soleva ripetere gesti dai significati ormai oscuri, probabilmente legati al passaggio delle stagioni e al modo più tradizionale di cucinare gli udon in brodo.
  • non ve ne abbiate a male, giapponesi all'ascolto: il vostro cibo è ottimo, ma i dolci sono terribili. Voglio dire, può sembrare strano mangiare pesce crudo, alghe di mare e fave al posto delle arachidi per accompagnare un drink, ma almeno sono buoni. Al di là del gelato al tè verde, invece, l'idea che il 90% dei dolci sia composto da fagioli rossi dovrebbe far capire quanto le papille gustative deputate al sapore dolce nel giapponese medio non siano posizionate sulla lingua, ma probabilmente in qualche posto intermedio tra il padiglione auricolare e l'occipite.

giovedì 25 giugno 2009

Sul concetto di viaggio


Tornato in Italia, devastato dal fuso orario. Nonostante il sonno accumulato non riesco a dormire.

Mi hanno fatto notare che dal post precedente si evince il fatto che non mi sono divertito in Giappone per via della compagnia. In realtà quel post l'ho scritto molto in fretta, visto i tempi stretti che avevamo tra un giro e l'altro, e non l'avevo neanche riletto. Mi dispiace molto che non si sia capito l'intento, ma non mi riferivo alla situazione particolare, alla compagnia in cui ero.

Il tutto è nato da una discussione, non ricordo neanche come cominciata, sul concetto stesso di viaggio: chi preferisce farlo da soli per vedere i luoghi e chi, come me, preferisce farlo in compagnia per la compagnia, più che per i luoghi. In futuro non ricorderò questo come il viaggio in Giappone, ma come il viaggio in Giappone con Beta e Kazushi, perché è con loro che l'ho vissuto dall'inizio alla fine. Non mi interessava vedere 7 templi, o 8, o 10: mi interessava viverli con i miei amici. Quando più, quando meno, sono riuscito: è tutto quello che volevo, niente di più. È soprattutto a questo che mi riferisco col "diritto di critica": nonostante non tutti i posti siano stati all'altezza, il viaggio è stato molto bello per via delle persone con cui ero, in particolare le più strette. Se ci fossi andato da solo, in Giappone, probabilmente mi sarei annoiato a morte.

domenica 21 giugno 2009

Diritto di critica


Alcune considerazioni di viaggio:
  1. viaggiare non è solo vedere più posti possibile nel minor lasso di tempo. Viaggiare è farlo con le persone giuste. Se non le hai non c'è niente da fare: il posto non ti piacerà.
  2. se viaggi con altre persone, spera di non capitare con qualcuno tipo punto 1.
  3. viaggiare da soli è una cosa che non riuscirò mai a capire. Molti dicono di essersi divertiti un mondo: io non ci credo, nella maniera più assoluta.
  4. quindi, se non sei sicuro di avere con te le persone giuste, non partire proprio.
  5. non è che, visto che sei in un paese esotico e lontano, tutto ti deve piacere per forza. Se pensi tipo "è tutto bellissimo è tutto meraviglioso" sei disonesto con te stesso prima che con gli altri. Niente è perfetto.

sabato 20 giugno 2009

Gastrite made in Japan


Sarà la nostalgia di casa, sarà che ho cambiato 5 hotel in 12 giorni (e ne ho avanti a me ancora altri 2), sarà che ho preso 3 aerei in un giorno, sarà che sono stato in due paesi di cui non capisco lingua e costumi e in cui l'inglese è largamente sconosciuto ma mi sto un pochino stressando.
Specie dieci minuti fa, quando non riuscivo a uscire dal bagno dell'hotel. Panico, "oddio adesso rimango bloccato qua, nessuno mi ritrova, morirò qua dentro". Per poi scoprire che stavo tentando di uscire tenendo premuto il bottone del chiuso a chiave.
Che gastrite che m'è venuta.

mercoledì 17 giugno 2009

Giapponesi, o del mondo alla rovescia


Prima di tutto un disclaimer: so che alcuni giapponesi, come Yuichiro, leggono il mio blog e non vorrei che si facessero una cattiva idea di quello che sto per dire. La gente è meravigliosa, il posto pure e mi sto divertendo da morire.

Vorrei solo condividere con voi qualche pensiero sui giapponesi.
  • per quel che riguarda il confronto con gli usi occidentali, potrebbero tranquillamente venire da Marte (e viceversa, ovviamente). Quello che da noi è permesso qua è almeno "sconsigliato" (soffiarsi il naso a tavola, riempirsi il bicchiere da soli, cose così); si passa la maggior parte del tempo a tentare di muoversi il meno possibile, per evitare qualsiasi insulto involontario. Ma ovviamente c'è anche il viceversa: mangiare in una ramen house è un'esperienza sonora oltre che gustativa, visto che il tagliolino in brodo giapponese esige il risucchio.
  • i giapponesi sono un popolo molto longevo, probabilmente il più longevo del mondo (esclusi i sardi che, in quanto ovviamente non italiani, sono considerati popolo a parte). Arrivano a età ragguardevoli, ma ci arrivano storti come pochi: non ho ancora visto un over 80 con la schiena dritta. Dev'essere per via del saluto/ringraziamento tipico che è composto da una serie di inchini: alla lunga segnano.
  • ragazze giapponesi carine sono frequenti come una supernova nella Via Lattea: molto spesso hanno le gambe storte, e l'utilizzo frequente da parte loro del famigerato "gambaletto antistupro" contribuisce a non renderle particolarmente appealing.
  • i giapponesi hanno passato gli ultimi tremila anni della loro storia tentando in tutte le maniere di complicarsi la vita: non sono hanno un sistema di ideogrammi composto da migliaia di simboli, ma non contenti hanno altri due sistemi di alfabeti, che vengono usati in disparate situazioni che non mi sono ancora molto chiare. Le bacchette, inoltre, sono il sistema meno pratico che mi viene in mente per mangiare (eccetto, forse, una ruota dentata o un robot di Voltron): provate a mangiarci il ramen in brodo, se ci riuscite vincete una bambolina a forma di Takeshi Kitano.
  • l'inglese parlato dalla stragrande maggioranza della popolazione giapponese assomiglia molto alla verginità di Milly d'Abbraccio: solo uno l'ha vista, tanto tempo fa, e nessuno se ne ricorda più.
  • i giapponesi sono educati in maniera quasi parossistica. Quasi ogni frase è un saluto, un "prego", un "mi scusi". In Francia, ad esempio, per ottenere qualcosa è d'obbligo il saluto; in Italia, di solito, non ottieni niente neanche con quello.
  • il cibo giapponese è ottimo, ma di solito è sempre quello, colazione, pranzo e cena. Abbiamo provato con la Matrioska un paio di volte ad andare a fare la colazione giapponese (zuppa di miso, pesce, tè verde), ma abbiamo sempre deciso di spostarla semplicemente di 5 ore e chiamarla "pranzo".

martedì 16 giugno 2009

Attenti al cappello


Ok, ho appena fatta la mia presentazione, ora sono più tranquillo. Devo dire che in passato, per una cosa del genere, sarei stato male per almeno una settimana prima; stavolta mi sono agitato solo un'ora prima. Pare che sia andata bene, perfino il boss della collaborazione allargata mi ha fatto una domanda, quale onore. So che un altro mi sta cercando per chiedermi, riguardo al mio talk, "and so what?", così lo sto evitando con cura. Indossa sempre un cappello giallo, evitarlo dovrebbe essere semplice.

Ieri sera mega-ricevimento di benvenuto all'ANA Hotel. Sì avete visto bene: un albergone da quattromila stelle coi receptionist in livrea, il bellboy vestito come nel film di Jerry Lewis, 3 o 4 sale da pranzo tra cui quella dove eravamo noi, 14esimo piano con vista sulla città da una parte e sul Castello di Matsuyama dall'altra.

Comunque c'è da dire una cosa: anche l'albergo dove eravamo a Tokyo, il Granbell Hotel, era davvero un GranBell'Hotel.

lunedì 15 giugno 2009

Toilet science


Prima mattinata di meeting. A quanto pare siamo una cosa grossa, visto che c'è la TV nazionale. Dopo la pausa pranzo, un paio di tizi con la telecamera si sono aggirati per i corridoi dell'Università di Ehime carpendo immagini di astronomi da paesi lontani che discutevano animatamente di scienza. In realtà eravamo io e altri due italiani che parlavamo degli ultratecnologici water giapponesi in termini del tipo: "Il cesso della mia stanza ha più transistor del mio pc".

Foto cortesia di SisypheHeureux.

domenica 14 giugno 2009

Impressioni di viaggio - parte II


Il fuso orario è davvero una bestia strana. Videochiamare la Picciula a notte inoltrata e vederla rispondere con la stanza invasa dal sole è un effetto discretamente straniante. Comunque.

Non pretendo di dare descrizione esaustiva del Giappone e dei giapponesi, soltanto da alcune ore di frequentazione. Il quartiere di Shibuya però li fa sembrare tutti bambini, ossessionati dall'idea di divertirsi in maniera che noi occidentali consideriamo forse infantile (il karaoke, da noi morto quindici anni fa, i gingillini pacioccosi e bambineschi che portano appesi ovunque, la mania di vestirsi da personaggi dei manga).

C'è qualcos'altro di spaventoso in Tokyo, comunque. È l'idea che perdersi è un attimo, e c'è il rischio di non ritrovare mai più la strada. Il nostro cicerone giapponese ci dice che i giapponesi trattano gli ospiti, specie europei, come re ed è vero, però c'è sempre il fatto che il giapponese medio capisce l'inglese meno dell'italiano medio. Ed essendo io italiano assolutamente medio, non è che lo parlo un granché.

In generale, la giornata di ieri è stata una delle più intense della mia vita. Partire da una città straniera come Marsiglia, prendere il primo volo della propria esistenza, appena dopo prendere il primo volo intercontinentale della propria esistenza, cenare a Tokyo a base di carne di pollo con wasabi, tonno crudo, korokke il tutto innaffiato da shochu, sono cose che non capitano spesso.

venerdì 12 giugno 2009

Impressioni di viaggio - parte I


In ordine sparso:

  • viaggiare in aereo è un controsenso, una assurdità. Per andare da Marsiglia a Francoforte mi sono alzato alle 6, ho preso autobus alle 7, metro alle 7.15, navetta alle 7.45, sono arrivato in aeroporto alle 8.30, tra check in e controllo bagagli sono arrivato al gate alle 9.15, ho preso l'aereo alle 10, che è partito alle 10.30, e sono arrivato a Francoforte alle 12.30. Totale: 6 ore e mezza. Col treno facevo prima. E non mi cacavo sotto dalla paura.
  • A proposito di paura, sono stato un signore. Autocontrollo a catena: non come la povera signora francese a fianco a me che a ogni sbalzo dell'aereo si portava la mano sulla fronte. Io bestemmiavo, ma tanto in italiano non mi capiva nessuno.
  • A proposito di sbalzi dell'aereo: la partenza è una cacata, piece of cake, sembra la partenza dell'ottovolante. Poco prima dell'arrivo, invece, turbolenza che ha scosso l'aereo come un tappeto persiano: le luci si sono spente, le ali fuori dal finestrino vibravano come a cercare di avvertirci disperatamente che non è fisico volare, che Bernoulli era un imbianchino e i fratelli Wright due onanisti sfigati.
  • A proposito di sfigati: i francesi siano stramaledetti. Credete sia possibile che in un aeroporto nessuno, NESSUNO parli inglese? Neanche quello che ti deve dire che ti sta per palpare le palle per vedere se porti una pistola? Neanche quella che ti deve dire di cacciare fuori il pc sennò i raggi X lo friggono? No? Venite in Francia.
  • A proposito di aeroporto: sapete che non ho mica capito come funziona? Sono qui seduto in un salottino di un gate a caso dell'aeroporto di Francoforte, e tante domande mi frullano per la testa: una volta che uno è arrivato al gate, dopo aver esibito decine di documenti diversi a decine di persone diverse, ne può uscire? E se sì, fanno come in discoteca col timbro sulla mano? E perché per arrivare al complesso del mio gate devo passare attraverso un controllo passaporto? E se io il passaporto non ce l'ho? Se dovessi andare, che so, a Madrid o a Napoli?
  • A proposito di Napoli: Marsiglia mi ha dato la stessa impressione. Ne parlavo anche con un simpatico violinista-informatico tunisino sulla navetta per l'aeroporto, e lui mi diceva che anche Tunisi è molto simile. Tutto il mondo è paese.
  • A proposito di navetta per l'aeroporto: alla stazione St.Charles ho chiesto informazioni ad una tedesca per trovare l'autostazione. Le ho chiesto se potevo fare il biglietto a bordo della navetta: "Sì certo" dice lei. Falso: l'autista mi ha guardato con sdegno e mi ha mandato in malo modo all'ufficio della compagnia. E il bastardo stava per ripartire prima che tornassi. Due stronzi al prezzo di uno.
  • A proposito di stronzi: la tipa del chioschetto all'interno del gate 27 di Marsiglia mi ha venduto una bottiglia da mezzo litro d'acqua a 3 euro.
  • A proposito di gate 27: l'imbarco era previsto al gate 24. Hanno cambiato all'ultimo momento senza neanche annunciarlo. Fortuna che erano vicini.
  • A proposito di vicinanza: ho ancora 7 ore prima di partire per un viaggio di altre 10.

giovedì 11 giugno 2009

Mania di persecuzione


Passi che il capo della collaborazione non mi caca da due anni: gli abbiamo chiesto da due anni di inserire la mia mail nella mailing list della collaborazione, "sì sì sì lo faccio subito" non l'ha ancora fatto.

Ma ignorare il fatto che avrei dovuto fare la mia presentazione, saltando invece da quello prima di ma a quello dopo di me, nonostante il mio dannato nome fosse scritto a chiare lettere sul programma della giornata, è troppo.

E il silenzio alla fine è stato davvero agghiacciante.

mercoledì 10 giugno 2009

Resoconti di viaggio


Partenza, ieri, alle 14. Arrivo in albergo a mezzanotte e mezza. In mezzo:

  • il Garmin che scazza l'uscita Piacenza sud, facendoci uscire a Piacenza nord, mandandoci allegramente per campi e tentando di farci passare sopra il ponte sul Po, crollato un mese fa, pace all'anima sua.
  • fermata cena in un paesino provenzale completamente deserto, fatta eccezione per arabi e nordafricani, che giocavano a calcio in strada e non pensavano minimamente che l'auto ferma dietro di loro dovesse passare.
  • il cellulare del boss che squilla, rivelando la passione del boss per le canzoni dance tipo Dragostea Din Tei.
  • l'arrivo all'albergo, una vecchia capanna provenzale in brutto stato, con i pavimenti dei loculi... ehm, stanze che si incurvano pericolosamente sotto il peso dell'occupante.

martedì 9 giugno 2009

I marsigliesi


È giunta l'ora, siamo arrivati. Oggi pomeriggio, appena dopo pranzo, me ne parto in macchina con capi e colleghi per la conferenza di Marsiglia. Sette ore belle placide, con tanto suolo sotto i piedi, e la gravità che non insidia costantemente il nostro viaggio.
Voci di corridoio dicono che la mia presentazione avverrà in un imprecisato momento della giornata di giovedì, quindi ho tutto il tempo per consumarmi dall'ansia, cena sociale di mercoledì compresa.

Non so se riuscirò ad aggiornare il blog in questi prossimi giorni. In ogni caso pensatemi, vi prego.

domenica 7 giugno 2009

Di che pasta siamo fatti

Stamattina lo scarico della lavatrice ha deciso di lasciarci a piedi. A piedi a mollo, a dir la verità, perché sapete, tra le proprietà dell'acqua non c'è quella di scomparire. Se la lavatrice vuol scaricare, e il tubo è otturato, all'acqua non può fregare meno: trova la via - alternativa - più diretta.

Nel nostro caso la via più diretta era fuori dal lavandino e poi sul pavimento.

E in questa si sono viste le due contrapposizioni del mondo: io che urlavo a gran voce "chiamiamo l'idraulico", memore del mio passato fallimento, e Picciula (in foto) che non si è persa d'animo e ha iniziato a smontare tutto lo scarico, pezzo per pezzo, a pulirlo, e a rimontarlo perfino, in un perfetto gioco a incastro che neanche il Tetris.

Certo, è avanzato un pezzo, ma cosa vuoi. Intanto funziona che è una meraviglia.

La mia negatività si è dissolta come un pezzo di ghiaccio in Burundi, e per farmi perdonare ho cucinato io una volta tanto. La carbonara. Di cui non è avanzato nessun pezzo.

mercoledì 3 giugno 2009

In risposta alla sua


Carissima Peugeot Italia srl spa lup mann mascalzon di gran croc,

è inutile che fai tanto la risentita perché mi hai dovuto mandare due inviti per la sostituzione di un pezzo che voi avete scazzato a montare.
Se siete davvero convinti che Bologna sia in provincia di Reggio Emilia, talvolta può capitare che il postino, che invece fino alla seconda elementare c'è arrivato, si confonda.
Se i vostri ingegneri sanno di centraline elettroniche quanto sanno di geopolitica, allora non mi sorprende che vi troviate in questa situazione.

Distinti saluti,
un cliente che ha dovuto bigiare una mattinata al lavoro solo per andare alle Poste Centrali a ritirare questa delirante raccomandata, e che bigerà mezzo pomeriggio per andare all'officina autorizzata che si trova dall'altra parte della città.

martedì 2 giugno 2009

It can happen to you

Lo sapevo. Lo sapevo.

Ho evitato gli aerei per tutta la mia vita per un motivo ben preciso. Questo:
Disperso aereo in volo da Rio a Parigi

Fra una settimana ho il primo volo della mia vita.

A fanculo anche il teorema di Bernoulli, va'.

lunedì 1 giugno 2009

Have you ever seen the rain?

Ok, la pioggia è bella e tutto quel che vi pare, ma da venerdì scorso non sta facendo altro e sta realmente cominciando a scartavetrarmi i maroni. Siam partiti da Bologna (con le luci della sera, mi verrebbe da dire - Luca Carboni, Mare mare, 1992 - se non ché era pomeriggio, il sole spaccava le pietre e c'erano 30°C), e già a Forlì veniva giù che dio la mandava. A Rimini la pioggia era talmente fitta che era diventata nebbia: immagino le madonne tirate giù dai bagnanti in riviera, così tante che i cartelli "Cattolica" si son voltati dall'altra parte. Arrivati a casa dei miei mia mamma mi accoglie in maglione: c'erano 12°C. Siamo scesi dalla macchina ed esordisce: "Ah, mi sono dimenticata di dirti: quaggiù piove e fa un freddo boia!" Maddai. Magari evitavo di portare solo magliettine di cotone e fantasmini per calzini.