giovedì 15 dicembre 2011

Spin-off, stagione 14


A proposito di facce che ormai sembrano tutti uguali, torna alla carica la rubrica Spin-off, per la serie "ma dove l'ho già visto?"

A sinistra abbiamo l'autoritratto del pittore tedesco Anton Raphael Mengs, a destra una bella foto del suo spin-off moderno, il grande kaisersoze Kevin Spacey.

martedì 13 dicembre 2011

Aging neuromancer


Sai come si capisce che uno sta invecchiando? Non sono gli acciacchi, non è il fiatone che ti arriva quando fai una rampa di scale, ché quella ce l'hai sempre avuta perché non ti muovi mai e fumi 10 sigarette al giorno; non è neanche il divenire più amari o al contrario più accomodanti, quella è semplicemente evoluzione, non necessariamente negativa o positiva.

Si capisce che si sta invecchiando quando, qualsiasi persona incontri o vedi per strada, pensi "ma io quello l'ho già visto da qualche parte". Il tuo cervello non ne può già più delle informazioni che assorbe da una vita dal mondo esterno, e invece di creare nuove caselle di memoria per le nuove facce, riutilizza quelle vecchie. O forse "non sono gli anni, tesoro, sono i kilometri".

Tutto questo da un lato è preoccupante (sto esaurendo i GByte a disposizione e purtroppo non hanno ancora inventato le chiavette USB neurali), dall'altro ho un'ottima fonte di materiale per la mia rubrica Spin-off. Anche se nel cambio dubito di averci guadagnato.

mercoledì 7 dicembre 2011

I nazisti dell'Illinois, fase 5


I nazisti dell'Illinois nacque come recensione preventiva di film blockbuster-spaccatimpani-peròammazzacheeffettispeciali che tutti aspettano e osannano prima ancora di aver visto. Ciò non esclude, però, che possa venir usata anche contro (contro, eh, mica per) altri generi di film.

Ecco appunto, generi. Sarà un certo grado di compartimentalizzazione (troppo fica sta parola, so neanche se esiste) del cervello umano, ché uno va a vedere un film perché è un film romantico, in costume, di fantascienza, con le tette di fuori, con Hugh Grant (che è un genere a sé). Poco importa chi l'ha diretto o da che novella è tratto, uno di solito va al cinema a vedere un chick flick, o un film d'azione (questi ultimi di solito si riconoscono dal titolo fatto da due parole, nome e aggettivo, tipo Impatto imminente) o poliziesco-thriller (che invece hanno titoli di tre parole, nome-preposizione-nome, Ipotesi di complotto o Colpevole d'innocenza). Così uno normale legge sul giornale Melancholia - che essendo titolo di una sola parola non può essere né d'azione né thriller - le prime righe delle della cui descrizione sono "il pianeta Melancholia è in rotta di collisione verso la Terra..." e l'appassionato di fantascienza corre direttamente al cinema senza leggere oltre, aspettandosi un bell'Armageddon magari stile retrò, coi razzi di metallo lucido appesi a fili che ballonzolano in un Universo di velluto nero.

Ciò che non sa, l'appassionato di fantascienza, perché non si è preso la briga di leggere la recensione fino in fondo, è che di fantascienza in Melancholia non ce n'è. I protagonisti, durante le due ore del film, sono oppressi dall'ansia del pianeta che è in arrivo ma tanto sto pianeta non si vede mai, non se ne parla mai: l'ansia dei personaggi potrebbe tranquillamente derivare da un dolorino sotto l'orecchio, la rata del mutuo, la figlia che va al ballo della scuola con un tizio noto come "l'inseminatore", la crisi del debito, la recessione, le cavallette. Ci sarà l'incomunicabilità, ci saranno comportamenti "lunatici" nel senso più letterale del termine, ci sarà il fastidio di vivere a cui Lars von Trier - il regista, visto che l'appassionato di fantascienza prima di andare al cinema non si è preso la briga di leggere - ci ha abituati.

Quasi è un peccato che i set non siano disegnati col gesso per terra come in Dogville, sempre di von Trier. In confronto, quella sì che era fantascienza.

giovedì 21 luglio 2011

I nazisti dell'Illinois, fase 4


A grande richiesta nazional-popolare torna la nostra rubrica I nazisti dell'Illinois, dedicata alla recensione di film che non ho visto. Il film di oggi tanto nazional-popolare non è, e devo essere sincero, un po' mi piange il cuore, perché se un film finisce su I nazisti dell'Illinois, una recensione positiva non è probabile. Dicevo, il film di oggi è The tree of life, di Terrence Malick.

Sostanzialmente The tree of life è la storia di una famiglia americana, nascite, amori, lutti. Babbo cattivo e mamma buona. Praticamente una telenovela, solo che Dallas passa per robaccia e The tree of life per capolavoro. Perché? Semplice. La voce off.

La voce off per un cinematografaro è come l'edera per un architetto. Fa figo e non impegna, cela la magagna, e innalza di due tacche il tono. In realtà c'è anche un'altra cosa che copre le magagne per un cinematografaro, cioè le tette. Così almeno dicono. Io personalmente ritengo che se un film non ha tette né astronavi non valga la pena di esser visto, ma that's just me. Chissà se ci sono tette in questo film. O astronavi. Non avendolo visto, non saprei. Certo che però, essendoci in The tree of life dinosauri, supernovae, il big bang, non mi sorprenderebbe affatto ci fosse anche qualche astronave. Al limite anche qualche tetta. Ma whatever.

The tree of life è un discorso allegorico panuniversale sul rapporto uomo-natura, sul cosmo, su fato, destino e libertà individuale, sull'Esistenza e il Singolo, Possibilità, Angoscia e Disperazione, Alfa e Omega, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri e Picchi, Harpo, Chico e Zeppo (Groucho compare solo nel prefinale), An, Ghin, Gò, tre civette sul comò. Ed è proprio alle tre civette sul comò che è dedicata la sequenza più emozionante e magistrale, quando su un fondale completamente nero, anche l'audio si azzera, il film si ferma, e anche il proiezionista va a farsi una canna nel vicolo dietro il cinema.

The tree of life è la risposta alla domanda: "Quanta corda posso tirare, prima che la corda si spezzi e anche l'ultimo dei critici si chieda «ma che cacchio era quello?»"

Un consiglio personale a Malick, e a qualunque altro si voglia cimentare nella settima arte. Non fate dire mai, MAI, a nessun personaggio dei vostri film la domanda: "Ti fidi di me?" Noi ci siamo fidati di Lost, in cui la dicevano tre volte a puntata, e guarda dove ce la siamo presa. No, Terrence, non ci fidiamo.

lunedì 27 giugno 2011

Mio personalissimo cartellino


Nell'angolo sinistro: Cinema in Piazza a Bologna (Cinema Ritrovato e Sotto le stelle del cinema). Film restaurati e grandi classici, in originale con sottotitoli, costo zero, puoi portare mangiare e bere.

Nell'angolo destro: Kino am Olympiasee a Monaco: film ultime uscite, doppiati in tedesco, 6€, puoi solo portare da mangiare (il bere lo devi comprare lì).

Mi spiace ma, almeno sull'offerta cinematografica estiva all'aperto, Bologna batte Monaco 4-0.

mercoledì 15 giugno 2011

Il monte Fumaiolo, parte trentacinquesima


La tradizione del «Corriere» si rinnova grazie ai caratteri Brera e Solferino
Una veste grafica esclusiva solo per i titoli

Da molto tempo mancava una notizia così fumaiolesca sulla nostra rubrica. È proprio l'essenza della fumaiolità. Almeno le notizie di gossip, per quanto stupide, a qualcuno interessano.

martedì 31 maggio 2011

Kranken movie


Prima o poi deve capitare, se non hai vent'anni e un fisico della madonna. No, non di farti ridere dietro tentando un rimorchio al bar, ma di dover andare dal dottore.

(musica ominosa, che non so se esiste come termine ma mi piace, immaginate la Sarabande di G.F. Händel - la musica di Paolo Migone di Zelig per gli ignoranti - o la sigla di Blob, o magari anche lo zanzanzan dello Squalo)

Immaginate di dover andare da un dottore tedesco (l'unica musica che mi viene in mente qui è la cavalcata delle Valchirie). L'unica possibilità per sopravvivere è cercare un medico che non sia troppo tedesco. Cosa voglia dire "troppo tedesco" non lo so, non c'è un criterio preciso. Sperabilmente uno che non ti apra lo stomaco con un coltello da Schweinshaxe o che non apra per sbaglio la cannula dello Zyklon B al posto dell'anestetico. (musica da documentario sui lager, tipo il pianoforte ossessivo della Corazzata Potyomkin citata da Fantozzi)

A questo punto ti imbatti nel singolare sito Pagine italiane in Baviera e tiri un sospirone. Alla sezione ortopedia - ché non avrò (più) vent'anni e non avrò (mai avuto) un fisico della madonna però almeno mi sono scassato facendo sport, non per il Parkinson - trovi 5 scelte 5. Tutti nomi tedeschi, ma se sono nelle pagine italiane ci sarà un perché. Ad esempio c'è il laureato a Roma, quello a Pisa, c'è perfino il medico sociale del Bayern (sennò Luca Toni come faceva?). Il sito di quest'ultimo - il medico, non Luca Toni - dal nome piuttosto imbarazzante di drpeter.de, con le foto delle sue assistenti fotomodelle e quella di lui medesimo, vitellone quarantenne dalla zazzera anni '70, mi ispirano zero fiducia. Sembra più la copertura per una casa di produzione di porno-soft. (qui parte l'organo elettrico di Gola Profonda)

All'ambulatorio del dottore laureato all'università di Pisa trovo ad accogliermi una simpatica assistente toscana, la copia sputata di Giorgio Ariani (musica scanzonata tipo Pierino torna a scuola) che inizia ad attaccare in giro per lo studio le fotocopie dei quesiti referendari italiani con la crocetta sul "sì" ben in evidenza (e qui parte "El pueblo unido"). "Sa, 'hosì 'huando 'hua arrivano gl'ithaliani, e mi 'hiedono "ma 'home si votha?", guardano 'hui e 'hapis'hono. 'Un so mi'ha se si ph'uò fare, ma a me 'hhe mi frega, 'huesta è 'hasa mia e fo 'home mi ph'are". (musica di un qualunque film di Pieraccioni o Panariello)

Per il resto, niente di che. In pratica se hai l'assicurazione sanitaria paghi 10 euro per la visita e per il resto ci pensa la mutua. Inserisci la tua tessera dell'assicurazione in un aggeggino tipo bancomat, sganci "diesci euri", come diceva l'assistente, e via dal dottore. Visita, lastre, diagnosi, prescrizione terapie, tutto velocemente, sin troppo. (metterei la musica di Speedy Gonzales ma è troppo poco tedesco. Magari la musica di Lola corre, ma è troppo poco conosciuta. Quasi quasi non metto nessuna musica, effetto film muto accelerato)

(Dissolvenza in nero)

Come dissolvenza in nero? E il finale, col disvelamento della patologia dell'eroe?

Non c'è. Me lo tengo per il sequel.

(titoli di coda)

venerdì 20 maggio 2011

Il mare in Baviera


C'è aria di mare oggi in Baviera. Sssì, lo so che il mare in Baviera non c'è, anche se hanno questo meraviglioso concetto esplicato dalla parola "See": al maschile vuol dire "lago", al femminile "mare", così uno può anche sognare.

Non so perché mi viene da dire che c'è aria di mare. Non è particolarmente caldo, anzi, dopo la tempesta di lampi di ieri sera (e conseguente scrollone di temporale) si è fatto piacevolmente fresco. Il sole però è tornato a splendere fiero, avete presente quelle giornate limpide, con quella luce così piena che gli oggetti sembrano incisi, più "veri", più tridimensionali? Ecco, oggi è una di quelle giornate. Saranno le tedesche in bicicletta in canotta e pantaloncini (mentre io giro ancora in felpa), sarà un vago odore di crema solare nell'aria, sarà l'odore lasciato dal temporale, sarà radio Antenne Bayern che giusto quest'oggi mi ha accompagnato con musica anni '80 che mi ha riportato alle estati passate da bambino sulle spiagge marchigiane, ma oggi una giornata di mare me la farei volentieri.

È vero, ho sempre detto di detestare il mare. Confesso, non è del tutto vero. Odio il mare per quel che rappresenta in termini di affollamento estivo, cafonaggine, urla, casino. Odio il mare d'estate. Gli altri nove mesi dell'anno il mare è bellissimo.

giovedì 19 maggio 2011

Il monte Fumaiolo, parte trentaquattresima


Prostata, il caffè come difesa
con 6 al giorno si previene il tumore

Un team dell'Università di Harvard ha monitorato per vent'anni 45mila americani, scoprendo che a un grande numero di tazzine quotidiane consumate corrisponde un calo deciso (fino al 60%) del rischio di contrarre la forma di cancro più diffusa (e letale) per gli uomini

L'ho sempre detto, io. Sebbene, se si deve bere caffè americano per avere l'effetto, non sono sicuro che un vantaggio ci sia davvero.

martedì 3 maggio 2011

Una ragione c'è sempre


C'era un'unica cosa che mi sfuggiva, in tutta questa cosa della Germania e di Monaco.

Ora credo di aver capito perché quel parcheggio è sempre libero.

giovedì 7 aprile 2011

Frühling in München


Sono giornate come queste in cui capisci veramente che hai bisogno del loro opposto per apprezzarle veramente. L'inverno bavarese ti opprime così tanto che la primavera, data quasi per scontata quando ero in Italia, oggi mi appare come una rivelazione.

Credo che ogni posto in cui viviamo o abbiamo vissuto abbia una "sua nostra stagione preferita": a Bologna per me era l'autunno, a casa dei miei forse l'estate, più per i ricordi d'infanzia - giornate intere passate sul dondolo in terrazzo a leggere e a godere della luce e della fine della scuola. Qui a Monaco è la primavera, senza dubbio.

martedì 5 aprile 2011

There's no life before Eiskaffee (grande)


In una gelateria di Bad Tölz, sabato scorso.

Sono quasi tentato di cambiare il nome della testata.

giovedì 31 marzo 2011

Elettroni di valenza


Buongiorno? No, grazie
Passeggiando con il cane, si arriva a scoprire un paesaggio che cambia. E con esso, le persone

Quanto odio questo tipo di articoli. E non solo di articoli, ma di discorsi in generale. Il "se stava mejo quanno se stava peggio" è uno di quei luoghi comuni che le vecchiette, in fila dal medico, si scambiano tra l'elenco dei dolori fisici e quello dei nipotini, seguito poi dal "nun ce stanno più 'e mezze staggioni, nun se sa ppiù come vestisse" - preludio di un apocalittico scambio di tristezze fino a dieci anni fa centrato sul "buco d'aazoto" e che oggi invece poggia sul "riscaldamento globbale", molto più di moda.

La Repubblica invece piange sulla perdita dei rapporti di buon vicinato, sul "nun ce se saluta ppiù, manco conosci quello che te abbita a fianco". È una forma mirata del già citato "se stava mejo quanno se stava peggio", centrato sulle persone e non sui "pommodori che sapeveno de pommodori": che bello quando cinquant'anni fa andavi alla festa di paese col tuo vicino di casa, che vicino non era per niente perché la sua casa distava 500 metri, di confinante avevi solo il campo e i litigi e i dispetti per i reciproci sconfinamenti erano all'ordine del giorno. Che bello scendere dal vicino dell'appartamento di sotto a chiedere un po' di latte perché l'avete finito, e il vicino vi dà la bottiglia dopo averci però sputato dentro perché camminando con gli zoccoli nell'appartamento di sopra fate sempre un sacco di rumore. Che bello andare al parco per farsi una sacrosanta boccata di cazzi propri e essere "socialmente costretti" a salutare tutte le persone che incontri, come invece fa volentieri l'articolista.

Per quanto mi riguarda, non rimpiango affatto il passato. Nell'idilliaco mondo passato teorizzato da Repubblica, in realtà l'uomo era prigioniero. Prigioniero non di quattro mura o di sbarre, ma socialmente prigioniero: non potevi sceglierti le persone con cui interagire giornalmente, dovevi semplicemente accontentarti di quelle che il Caso aveva posto a fianco a te. E non fa niente se non avevate nulla in comune, se non la (s)ventura di vivere a portata di voce l'uno dall'altro. Capita così che un amico diventi tale non già per interessi comuni, ma solo per lo stesso motivo per cui gli atomi di carbonio stanno assieme in un anello benzenico: prossimità ed elettroni di valenza (The big bang theory, 2010).
I "surrogati elettronici", come vengono definiti, "indiretti, impersonali e apatici" sono la vera liberazione sociale dell'uomo. Finalmente puoi essere amico delle persone che davvero vorresti come amiche, non quelle che ti sei ritrovato tra capo e collo. E sebbene alcune persone che conosci dall'infanzia, amici per caso per così dire, siano davvero preziose - per me, come per tutti - rivendico il mio diritto di camminare per strada senza guardare in faccia a nessuno. Le mie relazioni me le costruisco io, non lo lascio fare a Democrito "che il mondo a caso pone".
Buongiorno? Dipende.

giovedì 24 marzo 2011

Il monte Fumaiolo, parte trentatreesima


Bellezza, dermatologa: paura per Libia e Giappone? Soffre anche la pelle


Più che un monte Fumaiolo, peraltro meritatissimo, una cosa sola mi vien da dire: ma vaffanculo, va'.

lunedì 21 marzo 2011

Reazione alla reazione


Oh mein Gott.

Ho appena scoperto che qui nel campus dove lavoro c'è un reattore nucleare. Neanche di ultima generazione, anzi, è entrato in funzione del 1957. È usato per la ricerca, non credo per la produzione di energia, ma stigrandissimicazzi.
"Ah, lo sai vero che il nostro ufficio è nella zona rossa nel caso dovesse succedere qualcosa al reattore nucleare del campus?"
E quei buontemponi della città di Garching l'hanno persino posto sullo stemma comunale.

Cervello in rientro in Italia, anche gratis.

venerdì 18 marzo 2011

Vanity, thy name is Spinoza


Il mio nuovo pc personalizzato.

Le superflu, chose très nécessaire...

mercoledì 16 marzo 2011

Vetri rotti


Fa tristezza e una profonda rabbia leggere, a marzo 2011, di gente ancora a favore dell'energia nucleare. Fa ancora più rabbia che l'articolo del Corriere sia firmato da Edoardo Boncinelli, un genetista luminare della ricerca in Italia, mentre l'articolo par-condicioso di risposta è affidato a un pressappochista qualunque come Adriano Celentano.

Le persone non troppo intelligenti si sono svegliate un mattino coi tremori del terremoto di Sendai e si sono rese conto che il nucleare è pericoloso. Bè, meglio tardi che mai.

Le persone un po' più sveglie lo sapevano da prima, anche da prima di Cernobyl, basta farsi due conti e immaginarsi gli scenari possibili e il rapporto costi-benefici. Sarà anche vero che le centrali nucleari sono intrinsecamente più sicure di altre tipologie di centrali. Ma gli incidenti càpitano. Fukushima, Cernobyl, Three mile island sono solo le più conosciute e gravi. Majak, Windscale, Chalk River, sono poco conosciuti ma esistono, sono là, andateli a cercare. E quando gli incidenti càpitano, uno deve sempre pensare al worst case scenario. Cosa succede se va tutto storto? Nel caso di una centrale nucleare, bè, non c'è tanto da pensarci sopra, significa la fine della vita as we know it su un'area più o meno vasta. Sapete cosa succede ad una centrale solare nel worst case scenario, se arriva un terremoto, uno tsunami, ci cade sopra un meteorite, arrivano i Quattro Cavalieri dell'Apocalisse? Assolutamente niente. Vetri rotti, al massimo.

Gli stupidi invece, a quanto pare, non li svegliano neanche una scossa di terremoto.

lunedì 14 marzo 2011

È un mondo alla rovescia


Questa qui sopra è l'immagine che può definitivamente far capire come sono i tedeschi. Invece di porre la parte seghettata sul corpo rigido della scatola porta-pellicola trasparente, loro lo mettono sul coperchio. Ma come cazzo si fa.

mercoledì 9 marzo 2011

Fahren Sie die Autobahn?


L'italiano medio, quando pensa alla Germania, pensa sostanzialmente a tre cose:

  1. I nazisti;
  2. le Autobahnen;
  3. la gnocca.
Per quel che riguarda i nazisti, è bene sapere che i tedeschi vivono ancora come un trauma questa parte della loro storia, quindi non è davvero il caso di nominarla di fronte a uno di loro (a meno che non sia solo, più piccolo di voi e vi stia veramente sulle palle). Per quel che riguarda la gnocca, ne parlerò diffusamente in futuro, per ora sappiate che nello stereotipo c'è del vero e c'è del falso.

Le autostrade tedesche sono conosciute e mitizzate in tutto il mondo per due motivi fondamentali:
  1. sono gratis;
  2. non hanno limiti di velocità.
Per la prima, non c'è che dire: niente caselli, niente vignette, niente di niente. Le Autobahnen non si costruiscono né si aggiustano da sole, comunque, quindi da qualche parte i soldi dovranno pur trovarli. Presto detto: le tasse. Hai una macchina? Non ce l'hai? Ce l'hai ma non vai mai nell'Autobahn? Sticazzi, dice il legislatore tedesco. Fuori la pecunia.
Gli stranieri, che ovviamente le tasse le pagano - o non le pagano, ma questo è un altro discorso - nel loro Paese, sentitamente ringraziano. I tedeschi un po' meno, ma niente di drammatico.

Per quanto concerne i limiti. Le autostrade tedesche, di base, non hanno limiti di velocità, ma per quasi la metà del loro intero percorso (circa 6000 km su 12000) hanno in realtà un limite, il più delle volte completamente senza senso. Alcune volte è 120 km/h; spesso è 100; talvolta, in corrispondenza non si sa bene di che, perfino 80.

Capirete anche voi che tutto questo è molto pericoloso. Alcuni pensano che la pericolosità di tutto questo sia insita nelle parti senza limiti; altri, molti di più, ritengono che siano le parti con i limiti le più pericolose. Per dirimere la questione bisogna considerare fattori sociali, psicologici, fisici.

  • Fattore sociale: l'automobilista tedesco medio è maraglio. Non appena il timido sole bavarese si affaccia sulla città, il maraglio sfodera camicetta aperta sul petto, BMW Z4 elaborata decappottabile aperta, braccio fuori dal finestrino e heavy metal a palla. Tale personaggio, aspirando alla maraglità assoluta, sorvolerà le Autobahnen a velocità poco meno che relativistiche, gareggiando con altri maragli come lui e rendendo de facto inutilizzabili per tutti gli altri le due corsie autostradali più a sinistra.
  • Fattore psicologico, strettamente correlato al fattore sociale: il tedesco medio, non necessariamente automobilista, è frustrato sin dalla nascita. Nella terra del verboten, al tedesco è proibito quasi tutto quello che piace (con la reiterata scusa che è immorale, fa ingrassare, o contribuisce allo sterminio degli ebrei). Quello che in Italia, nonostante sia formalmente vietato, in realtà è solo blandamente sconsigliato (e infatti per rimediare abbiamo inventato il meraviglioso assolutamente vietato, che affascina e perplime il resto del mondo), per il tedesco è vietato. "Vietato calpestare le aiuole", "pista ciclabile", "lo sfruttamento della prostituzione minorile è un reato punibile con la reclusione da 6 a 12 anni" sono cose che in Italia fanno sorridere, ma qua vengono prese terribilmente sul serio. Tutto questo per dire che l'assenza dei limiti di velocità sulle autostrade, nonostante abbia un'origine assolutamente prosaica (la forte pressione lobbistica delle Case automobilistiche tedesche), al tedesco medio deve sembrare un dono quasi divino, da accettare e usare nella grazia del Signore per completare i 580 km tra Monaco e Berlino in meno di 3 ore.
  • Fattore fisico: l'automobilista medio, non necessariamente tedesco, più va veloce più fa danni. Per comprendere questo apparentemente semplice enunciato, bisogna sapere che l'energia cinetica è il lavoro che si deve compiere su un corpo di massa m, inizialmente fermo, per portarlo ad una certa velocità v. Ma è anche il viceversa: è il lavoro che un corpo di massa m, in moto a velocità v, deve compiere su qualcos'altro per fermarsi. La cosa importante da sapere (e che di solito sfugge a automobilisti e non, tedeschi e non) è che l'energia cinetica dipende linearmente dalla massa, ma quadraticamente dalla velocità. Sostanzialmente, se io con la mia 207 (m1=1400 kg) a v1=130 km/h mi schianto faccio danno 1, ma se si schianta uno col Cayenne (m2=2300 kg= 1.6 m1) a v2=200 km/h=1.5 v1 fa danno 1.6*1.5^2 = 3.6 volte maggiore.
In soldoni, i tedeschi sono portati a correre come disperati per far fronte a tutta una serie di inadeguatezze, le leggi dello stato glielo permettono per evitare di avere un esercito di frustrati ad assaltare il Reichstag, le leggi della fisica sono lievemente meno permissive e curano le inadeguatezze del tedesco con gravi lesioni e talvolta la morte.

venerdì 25 febbraio 2011

Paleo-drugs

Repubblica oggi posta delle foto di drogati prima e dopo, forse per sensibilizzare contro l'uso di stupefacenti. Questa una delle immagini:




Poco sotto, però, c'è la notizia che alcuni ricercatori hanno ricostruito il volto di Ötzi, la mummia del Similaun:
La conclusione ovvia? Ötzi è morto di overdose.

mercoledì 23 febbraio 2011

Il monte Fumaiolo, parte trentaduesima


Fumaiolo doppio in un solo articolo quest'oggi. Il primo è che Stefano Accorsi ha acconsentito a farsi fotografare senza ritocchi di Photoshop su Ok Salute. L'unico interesse di questa notizia è sapere che ritoccano anche le foto degli uomini sulle riviste.
Il secondo è che la visita in Bolivia gli ha cambiato la vita. Ma non tanto, purtroppo, da convincerlo a trasferirsi definitivamente là.

lunedì 14 febbraio 2011

I panni sporchi si lavano in casa


Uno dei metodi più efficaci per farsi un'idea di un popolo è quello di studiare il loro concetto di privacy. Non necessariamente si riesce dire cosa è meglio e cosa è peggio, forse perché un meglio e un peggio non ci sono, o forse perché gli estremi della scala sono entrambi peggio e l'ideale sarebbe una via di mezzo. Come in ogni buona analisi che si rispetti, l'analisi fornita si basa sull'osservazione di un solo caso, il mio, ed è quindi molto più che sufficiente per una statistica globale, assoluta e omnicomprensiva.

I tedeschi non hanno privacy. O meglio, non hanno niente da nascondere. L'ultima volta che han provato a nascondere qualcosa - i campi di sterminio - non è andata a finire bene.

Non si spiegherebbe, altrimenti, l'alta concentrazione di nudisti nei parchi cittadini, roba che in Italia non si verrebbe denunciati per oltraggio al pudore semplicemente perché a nessuno verrebbe in mente di prendere il sole come mammà l'ha fatto ai giardini Margherita o a Villa Borghese.

Non si spiegherebbe, soprattutto, la predilezione dei tedeschi per la lavatrice condominiale. Sarò io antico o troppo italiano, ma la lavatrice condominiale è orrore e ribrezzo. A parte l'assurda usanza di far pagare 2 euro per ogni lavaggio (ma si sa, è consuetudine tedesca far pagare qualsiasi cosa almeno il quadruplo del suo valore), condividere un'unica lavatrice con quasi 50 appartamenti fa sinceramente schifo. Fa ancora più schifo togliere i panni di qualcun altro dalla lavatrice per mettere i propri: buona norma, dicono, è tenere la canestra vuota sotto la lavatrice per permettere a chi arriva poi di togliere i tuoi panni e mettere i suoi. Schifo sommo.

Senza contare poi che un posto così ristretto per così tante persone non può che tirar fuori il peggio: dalla tipa che schiaffa 10 monetine per volta "prenotando" la lavatrice per una giornata intera e bloccandone l'uso a tutti gli altri, al maniaco che ruba le mutandine femminili dall'altrui bucato. Come se non bastasse, la lavatrice non va a monete normali, no! Sarebbe troppo semplice. Per usarla c'è bisogno di gettoni speciali da richiedere all'hausmeister, figura indefinibile a metà strada tra un amministratore di condominio, un portinaio e un custode. Metti una banconota in una busta, la metti nella buchetta dell'hausmeister e il giorno dopo nella tua buchetta c'è l'equivalente in gettoni della banconota. Non è un sistema farraginoso: è peggio. È stupido.
Così, in soldoni, per lavare i panni uno deve accertarsi 1- di avere gettoni, 2- che la lavatrice sia libera. E così succede che il bucato di oggi viene pronto dopodomani, e nel frattempo l'ultima mutanda che hai inizia a far la muffa. Ma visto che, in Germania, tutto è pubblico, la puzza proveniente dal tedesco medio è pubblica anch'essa, con grande stizza dell'italiano che fa prima a lavarsi tutto a mano nella vasca.

lunedì 31 gennaio 2011

(In)tolerance: weather's struggle throughout the ages


Potrebbero sorgere molte domande sulla salute e il fisico dei tedeschi. Alcune risposte potrebbero non essere piacevoli, altre potrebbero essere stupide e insoddisfacenti, ma guardandoli si ha decisamente l'impressione che siano fatti di una pasta diversa rispetto ai popoli latini. Non si spiegherebbe, altrimenti, come riescano ad andare in bici in pantaloncini corti o camminare in maniche di camicia arrotolate con temperature per le quali io non uscirei di casa tout court, neanche se un terremoto mi stesse facendo crollare la casa. Ma la Germania non è zona sismica quindi non è pertinente.

Non volendo addurre le motivazioni poco piacevoli (non perché non veritiere, anzi, forse proprio perché lo sono), propendiamo decisamente per le stupide.

Il tedesco nasce e cresce in una landa ostile, dove qualsiasi altro popolo non dico evoluto, ma almeno fornito di buon gusto, non avrebbe neanche mai pensato di stabilirsi ma sarebbe fuggito a gambe levate.
La storia dell'umanità racconta che le civilizzazioni più antiche sono sorte in posti caldi, e via via le più recenti in posti sempre più freddi: la culla dell'umanità è nella valle del Rift, in Africa; poi abbiamo gli Egizi, e in un preclaro trend Sud-Nord i Greci, i Romani, i Sassoni, gli Angli, i Vichinghi. Estrapolando, azzardo che la prossima civiltà emergente sarà quella degli orsi polari. La postura eretta già ce l'hanno.

Questa potrebbe essere perfino una prova del riscaldamento globale. Ogni migliaio di generazioni quelli dotati di sale in zucca emigrano un po' a Nord, asfissiati dall'afa crescente, e creano una nuova civilizzazione in qualche posto dove possano gustarsi una granita prima che il sole la tramuti in banalissimo sciroppo alla fragola.
Il tedesco, dicevo, molto probabilmente ha semplicemente precorso un po' i tempi: magari prima di approdare in Europa centrale se ne stava tranquillo, chessò, nei Balcani o in Padana, ha incocciato un paio di estati più calde del solito, il ventilatore non funzionava e ha deciso di partire col suo popolo verso il profondo Nord. Invece di aspettare il migliaio di generazioni ne ha aspettate una trentina, giunge in Baviera in estate e pensa di aver trovato il paradiso.

Ma poi arriva l'inverno.

Le prime generazioni devono aver sofferto. Ma poi si abituarono, come ci si abitua un po' a tutto, anche a esser chiamati "coglioni", "più bella che intelligente", "toghe rosse politicizzate" e via dicendo. Si adattarono anche fisicamente, corpi longilinei per assorbire più possibile il tenue calore del sole, mani a pala per liberare facilmente le auto dai cumuli di neve, occhi e capelli chiari per mimetizzarsi dai predatori.

L'italiano, erede di una grande civilizzazione ormai tramontata, guarda e sospira, avvolto da dodici strati di lana. Questione di abitudine.

mercoledì 26 gennaio 2011

Il monte Fumaiolo, parte trentunesima


Sì, caro. Messi guadagna 10.5 milioni netti ogni anno. Questo vuol dire che 2mila euro li guadagna in meno di due ore.

Per una persona normale è come una multa di, chessò, 10 euro.

sabato 15 gennaio 2011

La mia Posta è indifferente


Ogni tanto i tedeschi mi sorprendono per la loro totale mancanza di senso pratico. Alcune delle cose che noi diamo per scontate in Germania sono semplicemente sconosciute.

Abbiamo già discusso della forma dei cessi e della mancanza del bidet, ma queste sono cose comuni anche ad altre nazioni. Abbiamo accennato alle autostrade, senza limiti di velocità ma non recintate e senza asfalto drenante, che invitano animali e pedoni ad entrare e a essere investiti a velocità folli. Abbiamo anche discusso dei prezzi assurdi del trasporto pubblico, che rende più conveniente usare la macchina, proprio il contrario di quel che dovrebbe essere il trasporto pubblico.

Ma le Poste.

Le Poste tedesche, se ti arriva un pacco a casa e tu non ci sei a ritirarlo e a firmare, te lo tengono in deposito e ti lasciano l'avviso. Normale, come si usa anche in Italia e - spero - da altre parti del mondo.
Solo che in Germania te lo tengono in deposito una settimana, poi lo rispediscono al mittente. Ora, qualcuno di voi mi spieghi che senso ha tutto ciò. Se mi arriva un pacco mentre sono al lavoro, che so, di martedì, ho solo la possibilità del sabato mattina (perché di pomeriggio la Posta è chiusa) per andare se non voglio prendermi un permesso al lavoro. E infatti, file chilometriche fuori dagli uffici postali sono la norma. Ma se sabato mattina non posso? Se sono in ferie fuori città? Se sono in ferie per più di una settimana, come può accadere sotto Natale? Niente, ti attacchi. Se il mittente, bontà sua, te lo vuole rimandare te lo rimanderà, altrimenti ciccia.

In Italia il tempo di deposito è un mese, che ha molto più senso. Posso tornare dalle mie due o tre settimane di ferie e ancora avere il tempo di andare a prendere il mio pacco. Inoltre, le Poste maggiori che tengono il deposito di sabato sono aperte fino a sera. Dopo la prima settimana di deposito, che è gratis, si paga una sciocchezza che mi pare sia 50 centesimi al giorno. Facile come bere un bicchier d'acqua.

Non pensavo che l'avrei mai detto ma: Poste Italiane batte Deutsche Post 1-0.

PS: Tutto ciò per spiegare che se qualcuno di voi mi ha mandato un pacco prima di Natale e se lo vede rimandato indietro, non è colpa mia, sappiatelo. Se era un regalo di Natale e vi è tornato non è perché non m'è piaciuto. Anzi, sono ancora più curioso di sapere cos'è. Rimandatemelo, vi prego. Vi prometto che lo vado a prendere il giorno dopo. Giurin giurello.

giovedì 13 gennaio 2011

I nazisti dell'Illinois, fase 3


Questa puntata dei nazisti dell'Illinois, la rubrica nella quale recensisco i film che non ho visto, nasce dalla visione del box-office italiano di questa settimana. Se andate in qualsiasi sito di cinema, troverete un oggetto alieno che ha incassato 19 milioni di euro, staccando il secondo fermo a 4. Un così grande distacco significa che il vincitore è un film epocale, uno di quelli di cui si parla da anni, magari uno di Kubrick (damn, è morto), o un mega-effettone-speciale di Michael Bay (damn, non è morto).

Niente di tutto ciò. È Che bella giornata, regia di Gennaro Nunziante, con Checco Zalone.

Per sapere chi diavolo fosse Checco Zalone sono dovuto andare su Wikipedia: mi aspettavo un figlio delle scuole di cinema italiane, magari un attore navigato ma esploso tardi (come, chessò, Toni Servillo), o uno spettacolare esordiente (tipo Alba Rohrwacher).

Lette due parole ho capito. E ho pianto.
Le due parole erano "Zelig" e "sgrammaticato".

"Checco Zalone" pare sia un gioco di parole in dialetto barese: "che cozzalone" significherebbe "che tamarro".

Vediamo un po'. Un comico di Zelig, dalla forte caratterizzazione dialettale del sud, che parla in italiano sgrammaticato. Uau, credo che sia una cosa nuova.

Il film, "Che bella giornata" (pure il titolo è innovativo), parla ovviamente di uno del Sud che lavora a Nord. Perché non è che al Sud il lavoro scarseggia, no, non c'è proprio: uffici deserti, pompe di benzina solo self, negozi vuoti.
Magari fa un lavoretto e sogna il posto fisso, tipo statale? E magari si innamora pure di una bellissima ragazza? Che, proprio per non farci mancare niente, è un'araba che vuole far saltare in aria qualche infedele. Tutte cose mai viste, di un'originalità che spacca.
E vuoi che Checco, novello Candide, non abbocchi all'amo della bella araba? Perché il protagonista è ingenuo, buono, vede solo il positivo nelle persone. E vuoi che la bella araba, vista la bontà e la dedizione di Checco, non si converta all'istante e decida di non far saltare in aria un bel niente? Tanto, da dove viene lei non ci sono terroristi che tengono sotto scacco la sua famiglia, minacciando di ucciderli se lei non si fa saltare in aria. Noooo, i terroristi, anche loro, sono così ingenui!
In mezzo, 2 ore di italiano sgrammaticato, battute dialettali, il tontolone che non passa gli esami da carabiniere perché dice sciocchezze (come se bisognasse essere Einstein per fare il caramba) e tanti buoni sentimenti.

Signori, la televisione sul grande schermo: benvenuti alla morte del cinema.

martedì 11 gennaio 2011

Bang Meeting 2010


Pubblico i risultati del Christmas Bang Meeting 2010, dall'intrigante titolo "I soliti idioti". Uno dei pochi meeting in cui lo sceriffo ha sempre vinto - tranne una notevole eccezione. Pagelle pagelline per i nostri pistoleri:

1. Undead, 2500 punti/partita (5 giocate, 12500 punti totali). Un exploit straordinario e inaspettato per il ciarliero non morto, che giunge dalla lontana California del Nord per intontire di parole e bang i poveri malcapitati. Rimane vivo una volta sola, ma è quella giusta: alla terza partita da rinnegato riesce ad aver ragione dello sceriffo Weissbier Claus the Saint, che finisce la partita - con una mossa invero azzardata - cambiando il proprio Avatar in Apache Kid. Vince un'altra partita come vice - morto - dello sceriffo Frogbite, e stravince così il torneo. Debordante.

2. pari merito The Clown e Burrfoot con 1650 punti/partita (4 giocate, 6600 punti totali). The Clown vince le prime due partite entrambe come vice vivo, accanendosi nella seconda partita con una certa dose di piacere sul suo vicino CoolHand, che non arriva neanche a giocare. Sadico. Burrfoot si palesa alla seconda partita e subito sbanca il jackpot vincendo da sceriffo senza fare assolutamente niente, ma alla terza partita è stavolta costretto da CoolHand alla resa anticipata. Vince anche l'ultima partita come vice morto dello sceriffo Negroparty, e si porta così a casa la pagnotta. Pigro.

4. Lagoongirl, anch'ella con 1650 punti/partita ma solo 2 partite giocate (3300 punti totali). Dopo le prime due partite da esterna (in coppia con lo sventurato Weissbier) gioca due partite da vice e ne vince una. Poi va a fare shopping, e di lei si perdono le tracce fino alla cena. Distratta.

5. Negroparty con 1560 punti/partita (5 giocate, 7800 punti totali). Chi prevedeva per il Negroparty una vittora schiacciante con risa di scherno all'indirizzo degli altri giocatori e sfoggio di negri è stato parzialmente deluso. La condotta di gara è stata quella solita Negroparty (wells fargo, birre, cose) e le due vittorie da sceriffo e da vice non sono poche. Da notare che, per punteggio globale, sarebbe secondo solo a Undead: lo penalizza la partita in più giocata rispetto a The Clown e Burrfoot. Da rivedere.

6. Ratwoman con 1050 punti/partita (2 giocate, 2100 punti totali). Morta in entrambe le partite, riesce però a vincere la prima come vice di CoolHand sceriffo. Dopo la seconda partita, anch'ella scompare misteriosamente. Leggera.

7. pari merito Frogbite e CoolHand con 900 punti/partita (5 giocate, 4500 punti totali). Entrambi possono vantare una sola vittoria da sceriffo, ma il Mangiarane arriva veramente vicino al colpaccio all'ultima partita: arriva da rinnegato al duello con lo sceriffo Negroparty, ma il dead man riporta in vita un terzo giocatore e Frogbite muore poco dopo, rimanendo così a bocca asciutta. Sfortunato. Di CoolHand poco da dire: vince la prima partita da sceriffo, promettendo grandi cose, scompare in breve da tutte le altre, non mantenendo le promesse. Mentitore.

9. e ultimo, solitario, Weissbier con 160 punti/partita (5 giocate, 800 totali). Sempre morto, ottiene la poco invidiabile palma di esser stato l'unico sceriffo ad esser sconfitto (anche se con un certo qual onore, al duello finale col rinnegato Undead). Non pervenuto.

Menzione speciale per il Renegade, in trasferta in terra americana per imparare l'uso dei cavalli, in collegamento audio-video transoceanico via skype. È stato perfino fatto un tentativo per il gioco in remoto, ma l'impossibilità della webcam di fornirgli un'immagine del campo di gioco lo ha convinto a desistere. Non che di persona abbia mai avuto una visuale del gioco più chiara, ma tant'è. Per il tentativo, su proposta del Clown, gli vengono assegnati 200 punti, più di quelli di Weissbier.