giovedì 15 dicembre 2011

Spin-off, stagione 14


A proposito di facce che ormai sembrano tutti uguali, torna alla carica la rubrica Spin-off, per la serie "ma dove l'ho già visto?"

A sinistra abbiamo l'autoritratto del pittore tedesco Anton Raphael Mengs, a destra una bella foto del suo spin-off moderno, il grande kaisersoze Kevin Spacey.

martedì 13 dicembre 2011

Aging neuromancer


Sai come si capisce che uno sta invecchiando? Non sono gli acciacchi, non è il fiatone che ti arriva quando fai una rampa di scale, ché quella ce l'hai sempre avuta perché non ti muovi mai e fumi 10 sigarette al giorno; non è neanche il divenire più amari o al contrario più accomodanti, quella è semplicemente evoluzione, non necessariamente negativa o positiva.

Si capisce che si sta invecchiando quando, qualsiasi persona incontri o vedi per strada, pensi "ma io quello l'ho già visto da qualche parte". Il tuo cervello non ne può già più delle informazioni che assorbe da una vita dal mondo esterno, e invece di creare nuove caselle di memoria per le nuove facce, riutilizza quelle vecchie. O forse "non sono gli anni, tesoro, sono i kilometri".

Tutto questo da un lato è preoccupante (sto esaurendo i GByte a disposizione e purtroppo non hanno ancora inventato le chiavette USB neurali), dall'altro ho un'ottima fonte di materiale per la mia rubrica Spin-off. Anche se nel cambio dubito di averci guadagnato.

mercoledì 7 dicembre 2011

I nazisti dell'Illinois, fase 5


I nazisti dell'Illinois nacque come recensione preventiva di film blockbuster-spaccatimpani-peròammazzacheeffettispeciali che tutti aspettano e osannano prima ancora di aver visto. Ciò non esclude, però, che possa venir usata anche contro (contro, eh, mica per) altri generi di film.

Ecco appunto, generi. Sarà un certo grado di compartimentalizzazione (troppo fica sta parola, so neanche se esiste) del cervello umano, ché uno va a vedere un film perché è un film romantico, in costume, di fantascienza, con le tette di fuori, con Hugh Grant (che è un genere a sé). Poco importa chi l'ha diretto o da che novella è tratto, uno di solito va al cinema a vedere un chick flick, o un film d'azione (questi ultimi di solito si riconoscono dal titolo fatto da due parole, nome e aggettivo, tipo Impatto imminente) o poliziesco-thriller (che invece hanno titoli di tre parole, nome-preposizione-nome, Ipotesi di complotto o Colpevole d'innocenza). Così uno normale legge sul giornale Melancholia - che essendo titolo di una sola parola non può essere né d'azione né thriller - le prime righe delle della cui descrizione sono "il pianeta Melancholia è in rotta di collisione verso la Terra..." e l'appassionato di fantascienza corre direttamente al cinema senza leggere oltre, aspettandosi un bell'Armageddon magari stile retrò, coi razzi di metallo lucido appesi a fili che ballonzolano in un Universo di velluto nero.

Ciò che non sa, l'appassionato di fantascienza, perché non si è preso la briga di leggere la recensione fino in fondo, è che di fantascienza in Melancholia non ce n'è. I protagonisti, durante le due ore del film, sono oppressi dall'ansia del pianeta che è in arrivo ma tanto sto pianeta non si vede mai, non se ne parla mai: l'ansia dei personaggi potrebbe tranquillamente derivare da un dolorino sotto l'orecchio, la rata del mutuo, la figlia che va al ballo della scuola con un tizio noto come "l'inseminatore", la crisi del debito, la recessione, le cavallette. Ci sarà l'incomunicabilità, ci saranno comportamenti "lunatici" nel senso più letterale del termine, ci sarà il fastidio di vivere a cui Lars von Trier - il regista, visto che l'appassionato di fantascienza prima di andare al cinema non si è preso la briga di leggere - ci ha abituati.

Quasi è un peccato che i set non siano disegnati col gesso per terra come in Dogville, sempre di von Trier. In confronto, quella sì che era fantascienza.