giovedì 28 gennaio 2010

Meglio altra frutta


Ora che Steve Jobs ha presentato l'ultima creatura di casa Apple, l'iPad, posso spendere qualche parola sul mio atavico odio per la mela morsicata, perché questo aggeggio riassume in sé praticamente tutto.

In pratica, l'iPad è una via di mezzo tra l'iPhone e un netbook. Dell'iPhone ha il sistema operativo, l'aspetto, l'interfaccia multitouch, ma non telefona. Quindi il mercato degli smartphone è precluso, visto che non fa la cosa essenziale.
Dall'altra parte, del netbook ha le dimensioni (10"), il processore, ma nessuna porta USB né Firewire né Ethernet, e sopratutto, che dio li strafulmini, non ha il multitasking. Per chi non mastica pane e tecnologia, il multitasking è l'abilità di poter aprire più applicazioni contemporaneamente, cosa che i computer fanno da decenni. Questo, no. Vuoi sentire la musica? Puoi fare solo quello. Vuoi aprire internet? Devi chiudere la musica e aprire il browser. Magari nel frattempo vuoi chattare? Non puoi, devi chiudere internet e aprire la chat. Roba che il piccolissimo netbook della mia picciula, con un infimo processore Atom può fare tranquillamente a occhi chiusi e all'incontrario.

E tutto questo al modico prezzo di 800$, che è il doppio del prezzo sia di uno smartphone che di un netbook. Dire che tutto questo è assurdo è dire poco.

Apple è proprio questo: un'azienda che produce oggetti lungi dall'essere rivoluzionari (l'iPod non è il primo lettore mp3 della storia, come sento dire: il primo è della Saehan, circa 1998. Il Nomad della Creative, il primo ad avere grandissimo successo - ce l'ho anche io - è del 2000, un anno prima dell'iPod), con moltissime caratteristiche importanti che mancano. rimpiazzate dalla coolness dell'apparato esterno e dal marketing. La gente comprerà lo stesso questo aborto di iPad, anche se non serve sostanzialmente a niente. È l'apoteosi del consumismo sfrenato, del "compro perché è fico" e non del "compro perché funziona bene".

martedì 26 gennaio 2010

Definizioni


Mi attirerò un sacco di improperi con questa, ma pazienza, devo dire quel che penso.

Nonostante quello che dicono su facebook, la sindrome di Down È una malattia. È la presenza di un cromosoma in più che scombussola un po' le carte all'organismo. Può essere diagnosticata, può essere trattata nei suoi sintomi, non può essere curata.

Dicendo che la sindrome di Down è una malattia, non si dice mica che i malati non sono esseri umani, che non hanno bisogno di amore. Non vedo quale sia lo scandalo, o l'offesa, nel dire che la sindrome di Down è una malattia. Negare con forza qualcosa non rende quel qualcosa meno vero.

Non è la definizione che va cambiata. È l'atteggiamento delle persone nei confronti della malattia, di TUTTE le malattie, specie quelle che colpiscono le funzioni cerebrali. È l'atteggiamento del mondo, che deve mettere in condizioni i down, ma anche i menomati fisicamente, di vivere normalmente senza atteggiamenti paternalistici o, al contrario, negando la loro diversità. A Bologna una persona in carrozzella, ad esempio, ha una vita ben dura. Cosa serve negare la loro diversità? A niente. Quel che serve è creare autobus che abbiano il montacarichi e sufficiente spazio per una carrozzella, serve togliere i gradini nei palazzi pubblici.

Diteci cosa serve ai down, non che non sono malati.

lunedì 25 gennaio 2010

I nazisti dell'Illinois, fase 1


Inauguriamo oggi una rubrica della quale so che sentivate la mancanza. La rubrica sarà una recensione cinematografica di film che non ho visto, una sorta di processo alle intenzioni, che può essere letta sia in chiave cinematografica, appunto (sto film non l'ho visto ma tanto si sa come funziona), sia in chiave giornalistica (sto film non l'ho visto, su internet ne parlano a catena, magari dicono un mucchio di stronzate).

La chiameremo I nazisti dell'Illinois, in un duplice omaggio sia a The blues brothers, film che non si può non aver visto, sia al bellissimo scambio di battute in House, M.D., puntata 1x05 "Damned if you do":

House: «Tu odi le suore. E non si odia chi non si conosce.»
Chase: «Conosco dei nazisti? No, ma li odio lo stesso.»


Cominciamo dunque col recensire, inevitabilmente, Avatar.
Iniziamo subito col dire che il 3D non serve a niente, peggio, serve a qualcosa: a far stare la gente con la bocca aperta dimenticandosi così della banalità della trama. Sì perché la trama è quanto di più elementare si possa scrivere: i cattivi sono cattivi perché sono tecnologici, armati, i buoni sono buoni perché amano la natura e la rispettano, il cattivo si infiltra tra i buoni e diventa buono, combatte i cattivi e, contro tutte le probabilità, vince.
La ragione di essere del film, si dice, è negli effetti speciali. Lasciando da parte il 3D, c'è tutto il mondo alieno, gli animali, le piante e gli stessi Na'vi, creati al computer. Sinceramente quel poco che ho visto non mi ha fatto gridare al miracolo: il fotorealismo è ancora lontano. Una cosa che proprio non mi va giù è che ancora insistono per usare il motion capture da attori reali per animare i personaggi digitali. È un barare, è un prendere la strada più semplice: finché non sarà il computer stesso a generare movimenti realistici, invece di importare i movimenti di veri attori, gli effetti speciali non saranno altro che un colpo di vernice sullo schermo.
Come tutti i registi Cameron fa sempre lo stesso film: la tecnologia che soccombe di fronte alla potenza della natura (i marines di Aliens, supertecnologici e superaccessoriati, soccombono di fronte ai selvaggi alieni che squartano e sventrano a mani nude; l'inaffondabile Titanic viene affondato da un iceberg; The abyss sembra uscire da questo schema solo se non avete visto il Director's cut), quindi non mi aspetto nessuna variazione.
Unico punto a favore, che varrebbe da solo il prezzo del biglietto: Sigourney Weaver che fuma una sigaretta. Alla faccia dei deficienti che boicottano Avatar perché insegna valori negativi. Non perché ci sono i marines che vogliono sterminare un popolo, no: perché un personaggio fuma. Ridicolo come solo gli americani possono essere.

domenica 10 gennaio 2010

Il monte Fumaiolo, parte ventitreesima


Button, vacanze romantiche alle Hawai
E la fidanzata pubblica gli scatti sul web


A quanto pare le fumaiolate non vengono mai sole, ma due a due come le ciliegie. C'è perfino la chicca del refuso nel titolo.
Ma è soprattutto il sottotitolo a incantare:
La modella Jessica Michibata: «Ho giocato per la prima volta a ping pong»
Un "ma sti cazzi" corale per la bella Jessica.

sabato 9 gennaio 2010

Il monte Fumaiolo, parte ventiduesima


Clamoroso monte Fumaiolo autocommentantesi. E il 2010 parte di slancio.

venerdì 8 gennaio 2010

Se io fossi capo del mondo


Se io fossi capo del mondo, ecco una lista (incompleta) delle cose che cambierei:
  • toglierei i generi di prima necessità dal libero mercato. Cose come la casa e il cibo innanzitutto (ma poi si possono allargare ad altri campi) devono avere un prezzo stabilito dallo Stato. Non ha senso che, in tempi in cui gli stipendi diminuiscono e il lavoro non si trova, il prezzo di una casa decente voli ampiamente sopra i 2000€ al metro quadro, e cresca in continuazione. Di questo passo nessun giovane, senza aiuti esterni, potrebbe permettersela, e che fa, va a vivere sotto i ponti?
  • uniformerei la legislazione di tutto il mondo. Non ha senso che un crimine in Italia non lo sia in Svizzera, o che il costo del lavoro in Cina è talmente più basso che le aziende occidentali vanno là a produrre. Se le leggi fossero uguali ovunque, un'azienda occidentale non avrebbe nessun vantaggio ad andare a 10000km di distanza, anzi.
  • abolirei la Borsa valori. O meglio, la riformerei MOLTO profondamente. Non ha senso che le azioni di un'azienda salgano o scendano secondo voci di un malore del proprietario, o dicerie sull'uscita di un nuovo prodotto. Le azioni di una società dovrebbero essere scambiabili solo a intervalli predefiniti, che so, ogni tre mesi dopo la presentazione del trimestrale di cassa, così uno può decidere cosa fare dopo avere dati concreti in mano. È un modo per fondare la crescita delle società su fatti, e non su speculazioni.
  • abolirei gli interessi. Fare soldi solo per il fatto di avere soldi è un abominio che grida vendetta dal cielo.
  • abolirei l'inflazione. Non c'è nessuna legge fisica che prescriva l'inflazione (oddio, una ce n'è ma riguarda un campo piuttosto diverso) e quindi non sta scritto da nessuna parte che debba esistere. È una invenzione dell'uomo, di chi per ingordigia aumenta i prezzi in continuazione.
  • mi piacerebbe vietare la produzione e vendita delle armi, ma non credo sia fattibile.
  • farei rispettare le regole. Tutte. Non è un'utopia, da qualche parte pare che succeda, quindi un modo ci dev'essere.
  • abolirei i partiti. Sostituendoli con cosa? Non lo so, ci devo ancora pensare. Il problema è che non credo (più) nella democrazia. La democrazia è il potere del popolo, ma che ne sa il popolo di cosa serve davvero allo stato? Tra due partiti, uno che mi dice che abbasserà le tasse, l'altro che le alzerà, è ovvio che attira di più il primo. Ma siamo sicuri che sarà un bene per il Paese? O chi mi assicura che quello che un partito fa in questa legislatura non sia disfatto dall'altro partito nella prossima legislatura? Andando avanti così non si combina niente.
  • proibirei alle compagnie private di fare più cose possibile. Sicuramente impedirei loro di commerciare nel campo della sicurezza: qual è il modo migliore per incrementare le vendite di dispositivi di sicurezza? Fomentare il crimine, mi pare ovvio. Proibirei loro di avventurarsi nelle comunicazioni e nei servizi: che facciamo, creiamo 10 reti ferroviarie diverse per 10 compagnie? O sbuchiamo il sottosuolo per posare 10 diverse reti di cavi a fibra ottica per 10 ADSL diverse? O facciamo 10 acquedotti diversi? Che senso ha? Tutte queste cose dovrebbero essere di esclusiva competenza dello Stato.
  • collegata alla precedente, proibizione della pubblicità. Sono solo anestetici della mente. Il mondo funzionerebbe come dovrebbe funzionare, compri una cosa a caso e se non ti piace non la ricompri più. Obbligo per i commercianti di rifondere i soldi se l'acquisto non va bene (ora non lo fa più nessuno, o ti danno un buono equivalente da spendere in altro o, più prosaicamente, ti mandano a cacare).
  • le tasse le pagherebbero TUTTI. Come? Abolendo i contanti, che non sono tracciabili. Io abolirei tout court il denaro, ma mi dicono dalla regia che non sarebbe molto fattibile.
  • sarei tentato dall'abolire le religioni, ma non so quanto successo avrei. Mi limiterei a far pagare a tutte le tasse come qualsiasi altra impresa, poi vediamo quante ne rimarrebbero.
  • verserei stipendi proporzionali all'importanza etica del lavoro. Un calciatore prenderebbe lo stipendio minimo, un dottore quello massimo. Chi decide l'importanza etica di un lavoro? Io, naturalmente. Sono o non sono il capo del mondo?

mercoledì 6 gennaio 2010

Decennium bug


Stavo guardando dei filmati dell'11 settembre e mi era venuto in mente di fare un consuntivo di fine decennio.

Poi però mi sono ricordato che il decennio finisce alla fine del 2010 e non del 2009.

Quindi, appuntamento rimandato di un anno.

martedì 5 gennaio 2010

Roger è pessimista


La vedo tutti i giorni tornando dal lavoro, da 3 anni ormai, sulla colonna di un cancello vicino, e ogni giorno sorrido e ci penso. Invece delle solite "W la figa" o "ACAB" o "Paride ♥ Elena", c'è questo, vagamente surreale, "Roger è pessimista".

Mi chiedo spesso per quale motivo qualcuno abbia sentito il bisogno di far sapere al mondo che Roger è pessimista. Chi è Roger, poi? Un soprannome, magari, visto che a Bologna di Roger non ce ne saranno poi tantissimi. Potrebbe essere chiunque. E perché è pessimista? Cosa gli è successo, a Roger, per esser diventato pessimista? Un amore finito male? Un brutto voto a scuola, o all'università? Tragedie peggiori?

Non so perché mi piace, questa frase, forse perché è talmente "normale" da essere inusuale, o magari è viceversa. Ha talmente tanti possibili significati che non me ne viene in mente neanche uno.

domenica 3 gennaio 2010

Neujahrsfest


Di ritorno dal Capodanno a Monaco di Baviera. Spettacolo, grazie a Picciula, Hlodowig e Astromat.

Alcune considerazioni:
  • gli unici stranieri, in giro per strada, erano italiani. Una marea. Sarà la vicinanza, sarà quello che ti pare, ma non ho sentito nessuno parlare inglese, o spagnolo, o francese, o slavo. Solo italiano. Invadente.
  • gli italiani all'estero (ma non sono sicuro che "all'estero" sia essenziale) sarebbero da fucilare. All'Hofbräuhaus facevano un casino bestiale, e i camerieri che passavano e si trovavano degli ebeti in mezzo alle palle gridavano "attenzione", in italiano. Umiliante.
  • non per cause proprie, la cosa più antica della città probabilmente ero io. La Rathaus, che sembra gotica antica, in realtà è del 1909. Tutta la città è stata praticamente rasa al suolo durante la guerra, e tutto è stato ricostruito praticamente uguale. Questo non giustifica, però, il guardare allo showroom della BMW come a una meraviglia dell'architettura, che la Cernia mi perdoni. È un mostro di acciaio e cemento, contorto come in preda alle convulsioni, che incita a distogliere lo sguardo piuttosto che a fissarlo. Ma forse sarò io, che reputo tutto quello costruito dopo il 1900 degno solo di essere abbattuto. Agghiacciante.
  • l'Englischer Garten, di sera, fa abbastanza paura. La prima cosa che ti viene in mente è "stai lontano dalla brughiera", come in "Un lupo mannaro americano a Londra". Il che, per un Giardino Inglese, è abbastanza appropriato. Meno appropriata forse è la Chinesischer Turm, la Torre Cinese, che con gli inglesi non ci azzecca niente. Sia come sia, l'importante alla Torre Cinese è avere assaggiato il panino col leberkäse. Era uno dei miei punti d'onore, e i punti d'onore vanno rispettati, altrimenti poi uno si pente - come di essere andato in Sicilia e non aver mangiato il panino con la meusa, giusto in tema di panini. Delizioso.
  • l'omino dell'ascensore turbo dell'Olympiaturm, la Torre Olimpica. Gli italiani nell'ascensore erano tutti frizzi e lazzi per la bassa statura dell'omino ("dev'essere per via dell'alta decelerazione in discesa, si comprime per quello"), ignorando completamente che a) l'omino avrebbe potuto conoscere l'italiano e rimanerci male e b) la teoria è sbagliata, perché l'alta decelerazione in salita avrebbe dovuto stirarlo verso l'alto, così che in media avrebbe dovuto avere un'altezza normale. Ignoranti.
  • leggera delusione per i pannelli all'interno dell'ascensore. Mostravano altezza e velocità istantanea dell'ascensore (in m/s, fortunatamente, viva il Sistema Internazionale), ma mancavano dell'accelerazione istantanea. Non chiedevo m/s^2, al limite anche in unità g andava bene, ma niente. Sciatti.
  • Monaco a Capodanno non ha nulla da invidiare a Napoli a Capodanno, o a Beirut in ogni altro periodo dell'anno. Un'ora di botti micidiali da generare un nebbione fumoso bello denso, che si è depositato solo dopo un'altra ora. Geniali le lanterne-palloni aerostatici che l'astromat, der pilger e altri hanno lanciato, sulle cui istruzioni era riportato di contattare l'aviazione prima del lancio. Mi aspettavo da un momento all'altro gli aeroplani della Luftwaffe alzarsi in volo e tentare di intercettare questi invasori lucenti, ma invano. Pigri.
  • cenone misto italo-bavarese, con risotto al Teroldego (da diventare fan su Facebook) e tagliatelle al salmone e zucchine, salsicce e spezzatino, pan di molche trentino, vino Verdicchio marchigiano e birra bavarese. Stomaci disorientati per la gran quantità di sapori diversi, così tanti da non sembrare neanche sazio. E da mangiare ancora. Ingordi.
  • andare e tornare, due viaggi della speranza. Bufera di neve al Brennero all'andata (dio salvi le gomme termiche, e mio babbo che mi ha suggerito di montarle), 5 ore di code al ritorno, tra Germania e Italia. Uno si figura le code come un fenomeno solo italiano, ma 50km di coda tra Monaco e il confine austriaco di fanno cambiare idea. Devastante.