lunedì 12 maggio 2008

La cura


Detesto tutti quei giornalistoni che tengono le rubriche sui quotidiani on-line: Zucconi è un arrogante idiota, a tutti quelli che scrivono di cose serie risponde con una stupida battutina sprezzante, che ti fa venire voglia di ricacciargliela a forza in gola; Sergio Romano, a parte la prima interessante lettera a cui risponde (di solito di argomento storico) pubblica solo banalità del tipo "ma dove andremo a finire" e via dicendo; Severgnini è un montato pieno di sé, che privilegia le cazzate (insopportabile il lunedì dedicato al calcio) e scarta tante lettere serie.

Ciò premesso, ogni tanto qualcosa di interessante sulle loro rubriche si trova (Zucconi no, ormai ci ho perso le speranze, neanche lo linko): ad esempio questa lettera su Italians che parla della - inesistente - terapia del dolore in un ospedale marchigiano.
Sarà che sono nato e cresciuto nelle Marche; sarà che ho un genitore direttamente coinvolto nella Sanità regionale; anche se non sono mai stato ricoverato in ospedale (né nelle Marche, né altrove), la lettera mi colpisce molto.

Pubblico un estratto:

...sentivo persone che urlavano tutta la notte e nessuno si muoveva per aiutarle. Quando ho chiesto: perché non fate qualcosa per quel poveretto? La capo sala mi ha gentilmente risposto: «E' vecchio e sta male. Non diamo forti antidolorifici ai vecchi».
Poi mi hanno spiegato che gli italiani sono «stoici», che nemmeno i bambini si lamentano e che sopportano il dolore perché «il dolore fa parte della vita». Un'infermiera mi ha spiegato, indicando il crocifisso in camera: «Signora guardi quanto Lui ha sofferto per noi. Noi non possiamo soffrire un po' per Lui?». Mi hanno anche detto: «Statti zitta, non fare la bambina. Ma che lei è dottore?»

Secondo me sono frasi veramente gravi. Che risposta è "è vecchio e sta male"? Grazie al cazzo che sta male, sta in un ospedale. Se poi una infermiera avesse detto a me quella frase sul crocifisso l'avrei mandata affanculo seduta stante.

È un sintomo della incredibile arretratezza culturale italiana. È per questo che non potremo mai competere con altre nazioni europee: non perché la Chiesa afferma delle cose assurde. È perché la gente ci crede.

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